Samarcanda……solo evocare questo nome, per come è fatta la parola, per le sonorità che sprigiona, ti sposta la mente in posti esotici e ti sembra di entrare in una favola della principessa Shahrazad ne "Le mille ed una notte", o perlomeno non so per voi, ma questo è l’effetto che ha sempre fatto su di me.
E quindi l’Uzbekistan non poteva non entrare nella mia lista dei paesi da visitare, tanto più quando anni fa ho visto alcune fotografie su riviste come National Geografic dei suoi meravigliosi monumenti appunto da favola.
Ad inizio febbraio, mentre stavo aspettando l’aereo per andare a Parigi, pensavo al mio sessantesimo compleanno che si stava avvicinando, un’età tonda ed anche un po' di svolta perché nella mia mente porta ad un altro periodo della vita, e cresceva il desiderio di festeggiarlo in un posto significativo e bello. Così, avendo la fortuna di una data che non è anonima del 21 marzo, equinozio di primavera, mi metto a cercare se ci fossero dei festeggiamenti da qualche parte del mondo, e cosa scopro? Che nei paesi che facevano parte anticamente dell’impero persiano, si festeggia il capodanno persiano, la festa più importante ed antica in paesi come l’Iran, l’Iraq ed anche festa nazionale nell’Uzbekistan, quindi quale combinazione migliore ci poteva essere per visitare questo paese!
Mi documento un po', organizzo il viaggio ed il 17 marzo sbarchiamo all’alba all’aeroporto di Urgench con l’aria frizzantina in una splendida giornata di sole ed all’uscita per la prima volta nella mia vita, una cosa che mi diverte sempre molto quando la vedo all’arrivo negli aeroporti, ci aspetta una persona con il cartello Savazzi Lorella, e penso: Oh! finalmente anch’io ho il mio cartello! Era ovviamente l’autista che ha mandato a prenderci il B&B che si trova nel centro storico di Khiva. Ora c’è da sapere che il tris delle città assolutamente da visitare in questo paese, la capitale Tashkent è moderna e volendo la si può anche tralasciare, sono Khiva, Bukara e Samarcanda, ed io ho deciso di iniziare il viaggio dalla più piccola e si è rivelata una buona scelta. Quando siamo entrati nella struttura e salendo anche sul terrazzo dove c’era una bellissima vista panoramica sulla cittadina, ho respirato profondamente ed ho pensato: ecco qui inizia la mia favola!
Bella, bella, bella, girando per le vie del centro, mi sembrava di essere, con le dovute differenze architettoniche, in una bellissima cittadina italiana come può essere una Siena e così avevo un sentimento misto di apprezzamento per il nostro bel paese con l’immenso patrimonio storico che abbiamo, ma con la consapevolezza che la storia e le meraviglie storiche ci sono altrettanto anche da altre parti del mondo e vanno visitate.
Girare tra questi monumenti dai colori della terracotta e rivestiti con un lavoro certosino da maioliche in tutte le sfumature dell’azzurro fino al blu intenso è un piacere per gli occhi. Entrare nelle Madrasse, queste antiche università islamiche dove, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, si studiavano tutte le scienze e dove dal balcone periodicamente i maestri riferivano pubblicamente i progressi degli studenti, è un piacere per lo spirito.
Ebbene di queste scuole sia Khiva che Bukara sono piene, a dimostrazione di quanto fosse alto il livello culturale delle popolazioni che vivevano qui, arricchite anche dagli scambi culturali che venivano dal fatto di essere un crocevia tra oriente ed occidente.
L’eleganza di questi monumenti è incredibile; la bellezza è superba, ti sovrasta ed è tale da farti sentire come uomo veramente piccolo di fronte a lei. Mi è capitato di stare più di un’ora seduta nella piazza di Bukara (ma non solo lì) perché si respirava una tale armonia architettonica che non riuscivo a distaccarmene, e quando sono andata in altre strade, sono dovuta ritornare e restare lì ancora il tempo necessario a soddisfare questa arsura di bellezza che mi si scatenava.
Mi hanno anche spiegato poi che la disposizione dei monumenti, mettendoli uno di fronte all’altro che c’è in piazza a Bukara o a Samarcanda, è una tecnica architettonica per fare in modo che i monumenti dialoghino tra di loro e creare un’armonia particolare del luogo, e posso testimoniare che pur non sapendo questo, in effetti funziona perchè il mio corpo l’ha recepita. Si narra anche che Gengiskan, che notoriamente quando conquistava una città la radeva al suolo, arrivando a Bukara e vedendone la sua bellezza, ne sia rimasto affascinato e l’abbia risparmiata.
E per chi ama l'artigianato, vestiti, stoffe e tappeti dai mille disegni e colori, il vasellame, le spezie, oppure i copricapi tradizionali di pelo di Khiva che erano una volta portati scuri per gli abitanti della città o bianchi per gli stranieri, con una cura estetica nell'esposizione molto accattivante, qui insomma uno ha di che sbizzarrirsi e l'unico problema è lo spazio in valigia perchè porteresti a casa tutto.
Ma direte e la festa? La festa chiamata Navruz e si festeggia per l’appunto il 21 marzo (ma inizia anche qualche giorno prima) ed è il così detto capodanno persiano, che se vogliamo vedere in effetti ha più senso del nostro piazzato nel periodo più buio e freddo dell’anno, perché questo invece essendo nell’equinozio di primavera, significa l’inizio di una nuova vita, del risveglio ed il rifiorire della natura, e quindi di buon proposito per un nuovo anno.
E’ la festività più antica che si conosca sulla terra, ed ha un significato di condivisione molto profonda, i preparativi per Navruz iniziano in anticipo: khashar (pulizia collettiva di strade, cortili e locali), abbellimento, piantagione di fiori e alberi, e Khudoyi darvishona (eventi di beneficenza). Per Navruz si perdonano gli sgarbi ai nemici e si condivide tutto con gli amici, si fa l’elemosina o qualche offerta ai più bisognosi, ci si compra un vestito nuovo, dalla campagna si va e ci si ritrova nelle città, si fanno dei piatti particolari e tra i piatti delle feste il più sacro e preferito è il sumalak. Per cucinarlo correttamente bisogna osservare una serie di rituali e la preparazione del sumalak è sempre un'occasione gioiosa, alla quale partecipa tutto il vicinato. Durante la cottura si cantano canzoni nazionali, si balla e si raccontano leggende locali. Le giovani ragazze possono mescolare nel grande calderone di sumalak per esprimere un desiderio, di solito per la nascita di un bambino, mentre viene bollito. Quando il sumalak viene cucinato, tutti nel cortile lo ricevono come gesto di misericordia e di amicizia. Questo cibo ha una preparazione molto lunga, inizia qualche giorno prima mettendo in ammollo del grano con dell’acqua , e poi strizzandolo il giorno della festa, si cuoce questo liquido facendolo bollire dal mattino in grossi pentoloni insieme a farina e zucchero.
Viene posizionato sopra un fuoco in un cortile dove si aggregano i vicini di casa (è una festa di condivisione), viene mescolato dalle donne e solo da loro, mentre gli uomini preparano la musica o suonano essi stessi dal vivo, per poi verso sera mangiare questa polentina dal sapore quasi di castagna sul pane e ballare insieme i balli tradizionali. Passeggiando per strada; soprattutto a Kiva, ogni tanto si vede qualche raggruppamento come questo, e non essendoci tantissimi turisti stranieri in questo periodo, noi curiosando ci invitano ad entrare nei cortili, e tutti quando dico che il mio compleanno è proprio il 21 marzo mi dicono che sono una Navruza, che rappresento la nascita in tutto e per tutto, e pertanto ho la fortuna anch’io di mescolare insieme alle donne la pentola e non mi tiro indietro anche quando mi fanno ballare insieme a loro i balli tradizionali, tra l’altro anche molto belli e coreografici. Questo popolo è stata una vera e propria rivelazione per cordialità ed ospitalità, dai ragazzi delle scuole che ti fermano per strada per fare pratica in inglese, dagli anziani ai bambini che chiedevano di fare una foto con mio marito e tenerla come ricordo, ti propongono i loro lavori di artigianato ma senza essere invadenti, insomma ti fanno sentire bene come a casa e per certi versi anche meglio di casa. Oltre alle città abbiamo anche fatto una giornata in auto con il nostro autista, nel Karakalpastan, una zona in gran parte desertica e molto rurale, povera ma con quella povertà rurale di grande dignità, ricordandomi le nostre campagne di una volta. Ci fermiamo un attimo lungo la strada per fotografare una tipica casa agricola e vediamo la padrona con una bambina piccola intenta a preparare il pane nei tipici forni a legna della zona, un pane bellissimo a forma rotonda e abbellito da dei ricami che fanno grazie a degli stampi appositi, con un profumo veramente squisito e lei ce lo mostra orgogliosa offrendocene uno. Facciamo una fotografia insieme e noi non abbiamo niente da dare in cambio se non un pacchetto di caramelle per la bambina che corre felice dalla mamma mentre ce ne andiamo. Ora, io non so se noi siamo ancora così disponibili verso le persone sconosciute che arrivano davanti al cancello di casa nostra, non so se con la nostra chiusura che si è accentuata soprattutto negli ultimi tempi stiamo meglio. Io so che più ci chiudiamo, più perdiamo delle occasioni di sorrisi, di abbracci, di scambi di emozioni ed ogni cosa che si perde non può far altro che renderci più poveri e pertanto ringrazio questo popolo per tutte le emozioni belle e di fratellanza che mi ha dato in questo viaggio, augurandogli di preservare questo spirito..
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